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Interstellar

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InterstellarInterstellar non ha bisogno di presentazioni: che piaccia o meno, ha lasciato un segno nel mondo del cinema. Per me è stato un buon film, sicuramente più godibile e comprensibile di Tenet di cui, devo dire la verità, ho capito poco. Con Interstellar siamo dinanzi a una fantascienza che forse i più puristi e intransigenti non apprezzeranno dato che oltre alla ricerca la cosa più importante è l’amore, quel legame che s’instaura con alcune persone e che spinge ad andare oltre i limiti, a imbarcarsi in imprese in apparenza impossibili. Detta così, la cosa fa un po’ storcere il naso e lo farei anch’io se dovessi leggere una quarta di copertina o un incipit del genere; c’è da dire però che Nolan ha saputo lavorare meglio di come ho descritto in queste righe il film e quindi la pellicola non è così disastrosa come l’ho descritta, anche se fa un po’ pensare la battuta del personaggio che Anne Hathaway interpreta “L’amore non è una cosa che abbiamo inventato noi. È misurabile, è potente. Deve voler dire qualcosa, Cooper. L’amore ha un significato, sì”: d’accordo che non è stato inventato dall’uomo, d’accordo che ha un significato, un po’ meno che sia misurabile.
La trama non è complessa: la Terra sta morendo e l’umanità cerca di sopravvivere come può, lottando contro una piaga che colpisce i raccolti e contro tempeste di sabbie improvvise, senza contare le malattie che hanno decimato la popolazione mondiale (e non solo: la carestia a un certo punto aveva spinto i governi a eliminare parte della popolazione); tutto è rivolto all’agricoltura, pure l’istruzione, che concentra i suoi sforzi sul formare persone che lavorano la terra. Tutto ciò però non servirà a evitare l’inevitabile. L’unica speranza è la Nasa (che ora lavora in segreto) che ha mandato dodici persone nello spazio verso un wormhole scoperto decenni prima presso Saturno, comparso all’improvviso e che porta verso una galassia con pianeti abitabili; ora che hanno ricevuto dati incoraggianti da tre pianeti, vogliono mandare una missione per scoprire qual è il più adatto per essere abitato dall’umanità e salvarla, e qui ci sono due possibilità: la prima, raccogliere dati che permettano di risolvere un’equazione relativa alla gravità per rendere possibile la costruzione di moduli di trasporto spaziali necessari all’umanità; la seconda, una bomba di ripopolamento, ovvero ovuli fecondati che verranno poi fatti sviluppare sul pianeta scelto come nuova patria per l’uomo.
Quando ho visto Interstellar la prima volta, non mi sono soffermato su certi dettagli, ma ho voluto solo godermi la visione del film; rivedendolo, però alcune perplessità mi sono venute. La prima è quanto riguarda il divulgare che i viaggi sulla Luna non sono mai stati effettuati ma sono stati solo una propaganda per spingere la Russia a spendere i propri soldi in viaggi non fattibili e così farla fallire; sinceramente, questa è una spiegazione che ha poco senso, anzi direi che è proprio illogica (può essere messa allo stesso livello di chi asserisce che la Terra è piatta). Capisco il tagliare i fondi per tutto ciò che non è sopravvivenza, come a esempio ricerche spaziali, quello che mi viene meno da comprendere è cambiare fatti storici: che tornaconto ha per la sopravvivenza del pianeta? Si vuole cercare così spegnere sul nascere le fantasie o le speranze d’individui che non pensano solo al proprio mondo ma vedono al di là di dove vivono?
Si scopre poi che questa è solo una facciata per la popolazione, perché la NASA esiste ancora e non solo continua a investire nella ricerca, ma lancia spedizioni nello spazio e sta costruendo grandi stazioni per far vivere gli esseri umani nello spazio. Qualcuno potrebbe vedere in ciò una contraddizione con quanto sopra asserito, ma può avere un senso (lavorare in segreto per non creare sommosse e proteste nella gente che stringe la cinghia. Sì, però a giocare a baseball non rinuncia, cosa tipicamente americana…).
Sorvolo su tutto ciò che succede nella storia perché se si vuole saperne di più basta guardare su Wikipedia e perché non ho basi sufficienti per parlare della correttezza o meno di leggi della fisica, teorie varie, buchi neri e quanto legato alla scienza e alla fisica visti nel film. Non mi soffermerò nemmeno a discutere sulle prove degli attori che nel complesso trovo buone, così come trovo molto buone le immagini e certe scene che tengono incollati allo schermo; in diversi hanno criticato i dialoghi, ma personalmente non mi sono dispiaciuti.
Quello che mi lascia invece un dubbio è il finale e non parlo del tesseratto, di quanto avviene al suo interno e del legame che c’è col passato e che determina il futuro, rendendolo qualcosa di predeterminato: a mio avviso quanto viene spiegato ha un senso, una sua logica. Ciò che non mi torna è quello che avviene dopo, quando Cooper (il protagonista) viene ritrovato e portato in una della stazioni spaziali dove ora l’umanità vive e dove incontrerà la figlia ora molto più vecchia di lui e ormai in punto di morte (era partito che lei era bambina); non mi sto riferendo al fatto che il tempo per i due sia passato in maniera differente, ma a quando la figlia esorta il padre a trovare Amelia Brand, l’altro astronauta sopravvissuto, che ha raggiunto il terzo pianeta dell’esplorazione e che potrebbe divenire la nuova casa dell’umanità. Cooper per fare ciò dovrà riattraversare il wormhole, ma quanto tempo impiegherebbe per raggiungere Amelia? Come la troverebbe? In questo caso non dovrebbe avvicinarsi al buco nero presente in questa galassia e quindi il suo tempo non dovrebbe risultare alterato, ma i dubbi sul fatto che i due possano ricongiungersi mentre hanno la stessa età rimane (questo però può dipendere dalla mia limitatezza della conoscenza delle varie teorie della fisica inerenti l’universo e da una certa confusione nata dopo aver rivisto il film).

 

Fuga dal pianeta delle scimmie

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Fuga dal pianeta delle scimmieFuga dal pianeta delle scimmie si mantiene più o meno sul livello del secondo film, L’altra faccia del pianeta delle scimmie, ovvero si va di perplessità e scivoloni. Nella pellicola precedente, la Terra del futuro viene distrutta completamente da una potente testa nucleare, ma prima che questo avvenga, Zira e Cornelius si salvano fuggendo dal pianeta con l’astronave di Taylor precipitata in un lago, che è stata recuperata e riparata dal dottor Milo. E qui ci sono le prime grandi perplessità. Uno, come hanno fatto a tirarla fuori dall’acqua con i mezzi che avevano? Due, come hanno fatto a ripararla avendo una tecnologia inferiore a quella dell’astronave?
Non bastasse questo, l’onda d’urto che colpisce l’astronave in volo la spedisce indietro nel tempo, facendola finire nella Terra abitata ancora dalla civiltà umana. Zira, Cornleius e Milo finiscono in uno zoo, trattate come scimmie comuni, almeno fino a quando non si scopre che sanno parlare. Milo muore praticamente subito ucciso da un gorilla, mentre Zira e Cornelius diventano praticamente delle star, finendo sotto l’attenzione sia dei media, sia del pubblico, sia del governo. Almeno fino a quando non hanno a che fare con il dottor Otto Hasslein, che li vede come una minaccia e vuole scoprire cosa è accaduto all’umanità nel futuro; durante l’interrogatorio, oltre a raccontare il conflitto che ha portato alla distruzione del pianeta e la convinzione (più che convinzione) trasmessa che l’uomo distrugge se stesso e quanto ha a che fare con lui, si scopre che un’epidemia aveva sterminato cani e gatti, facendo così divenire le scimmie gli esseri scelti dall’uomo come animali domestici; col passare del tempo le scimmie presero consapevolezza della loro condizione e si ribellarono agli esseri umani.
Sempre più convinto che Zira, Cornelius e il piccolo che lei porta in grembo siano una minaccia (specie dopo aver saputo che Zira aveva dissezionato umani nel suo lavoro), il dottor Otto Hasslein ha l’ok del presidente degli Stati Uniti a sterilizzare la coppia e sopprimere il futuro nascituro. Zira e Cornelius scappano e, aiutati da due umani, si rifugiano in un circo, ma lo spietato dottore continua a dargli la caccia, uccidendo loro e il piccolo da poco nato. Tuttavia, quello che viene ucciso non è il piccolo della coppia, ma una scimpanzè da poco nata nel circo dove si erano rifugiati; Milo, questo il nome del loro figlio, è rimasto nel circo sotto la protezione del proprietario del circo.
Se non fosse per l’escamotage per fare un seguito della serie, che a mio avviso fa cascare un po’ le braccia, e per certi dettagli che lasciano un poco a desiderare, Fuga dal pianeta delle scimmie non sarebbe un film malvagio, ha degli spunti interessanti, anche se non sono molto innovativi: qui si ribaltano i ruoli che si avevano nel primo film (sono le scimmie intelligenti e parlanti a essere viste come attrazione, curiosità e anomalia), ma il copione rimane sempre lo stesso, ovvero che alla fine, in qualsiasi società ci si ritrovi, il diverso viene visto come qualcosa che va eliminato. L’unica cosa a mio avviso meritevole è il fatto che il film fa da anello di congiunzione tra il passato della Terra (il presente in cui sono finite le scimmie) e il suo futuro (il mondo in cui vivevano le scimmie), con gli eventi che si verificano che determinano quello che dovrà accadere; in poche parole, sono gli stessi umani, inconsapevolmente, a creare il proprio destino, costruendo così un fato ineluttabile: se non avessero inviato l’astronave alla ricerca di un nuovo mondo, le scimmie intelligenti non sarebbero potuto arrivare, mettendo così il seme della nuova stirpe che col tempo si sarebbe sviluppata fino a essere dominante.

The Fabelmans

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The FabelmansThe Fabelmans è stato uno dei film di Spielberg che non ha avuto un gran successo a livello d’incassi (per il regista è stato il peggiore), probabilmente perché il pubblico da lui si aspetta azione, avventura, effetti speciali come con i vari Indiana Jones, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T., Lo squalo, tanto per citarne alcuni, ed è un peccato, perché si è dinanzi a un buon film. In esso c’è molto del regista e attraverso Sammy, il protagonista, rivela com’è nata e si è sviluppata la sua passione per il cinema: i suoi primi lavori, dai due treni giocattolo che si scontrano tra loro a un cortometraggio western e uno di guerra, mostrano il suo cammino di crescita nella realizzazione di pellicole. Seppur tutto sia interessante, la parte più forte è quella intimista, ovvero come la sua passione ha influenza sul suo guardare il mondo, sulla sua crescita e soprattutto su come vede e conosce la sua famiglia, cosa che lo turba non poco; una delle parti migliori del film è il dialogo che ha con lo zio Boris (ex domatore di leoni), venuto a trovare la famiglia dopo la morte della nonna, che gli spiega come l’arte lo lacererà, lo farà soffrire e creerà divisioni con gli altri, ma che non potrà fare a meno di seguirla. Lo zio gli spiegherà che proprio seguire la sua passione aveva portato una frattura con la sorella (la nonna di Sammy), cosa che aveva infuito anche su Mitzy, la madre di Sammy, che aveva sacrificato la sua vocazione (era una pianista) per le pressioni fatte dalla nonna, contraria al seguire la strada dell’arte.
Cosa che si presenta anche nel rapporto tra Sammy e suo padre, ingeniere elettronico, che vede la passione del figlio come un semplice hobby che dovrebbe lasciar perdere per cercare di fare qualcosa di utile per la società. Ciò crea dei contrasti in famiglia, non solo tra padre e figlio, ma anche tra i genitori, con la madre che lo supporta mentre il padre cerca di scoraggiarlo tutte le volte che può. A un certo punto Sammy pensa di abbandonare tutto non tanto per accontentare il padre, quanto per il fatto che attraverso le riprese che fa scopre il legame sentimentale che c’è tra la madre e Bennie, il miglior amico di famiglia.
A questo periodo difficile della sua adolescenza si aggiunge il trasferimento nella nuova scuola, dove viene preso di mira per essere ebreo.
Il pubblico non avrà saputo apprezzare The Fablemans, ma si è dinanzi a un film fatto bene, sensibile e anche profondo, che merita di essere visto. Promosso a pieni voti.

L'altra faccia del pianeta delle scimmie

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L’altra faccia del pianeta delle scimmieSe Il pianeta delle scimmie mi era piaciuto, il suo seguito, L’altra faccia del pianeta delle scimmie mi ha lasciato perplesso e non poco. Il film riprende da dove finisce il precedente, con Taylor e Nova che viaggiano nella Zona Proibita; tutto sembra tranquillo, fino a quando dal nulla compaiono fiamme e fulmini. Taylor va a controllare e sparisce nel nulla, lasciando da sola la povera Nova, che però non rimane poi tanto da sola: nella Zona Proibita precipita un’altra astronave terrestre, mandata in missione per ricercare la precedente nave.
Questo è il primo punto che mi fa storcere il naso. Uno, se la missione precedente doveva durare settecento anni, perché mandarne un’altra? Due, anche se l’astronave è partita dopo, come fa ad arrivare praticamente nello stesso posto e nello stesso momento? C’è per caso un wormole? Mi sembra essere una bella forzatura, ma di quelle belle grosse, così grosse da essere assurde. Non potevano limitarsi a seguire le vicende di Taylor e Nova nello scoprire la Zona Proibita? Questa sarebbe già stato interessante e invece hanno voluto metterci un altro arrivo dalla Tera del passato.
E figurati se anche questa missione può andare bene: l’astronave si schianta e sopravvive solo un membro dell’equipaggio, Brent, che naturalmente incontra Nova e scopre che Taylor è giunto lì come lui.
Nel mentre, le scimmie, sotto la pressione del gorilla Ursus, cui si oppone il professor Zaius, vogliono invadere la Zona Proibita e poterla sfruttare. Altro punto che lascia perplessi: se la consideravano arida (e la pensano così da secoli) perché ora la vogliono usare? E poi perché invaderla, se non sanno se è abitata o deserta? Il tutto si basa sul fatto che gli esploratori mandati là non sono mai tornati.
Presi dalle scimmie (copione che si ripete), Brent e Nova, con l’aiuto di Cornelius e Zira, fuggono, finendo in una grotta che si rivelerà essere una stazione della metropolitana di New York. Arriveranno così nei resti di New York ed entrano in una cattedrale, dove scoprono una società di discendenti dei sopravvissuti dell’olocausto nucleare, individui in apparenza normali (portano maschere che simulano la pelle umana, perché in realtà la loro è deturpata a causa delle modifiche subite dagli antenati dalle radiazioni) ma dai grandi poteri telepatici, capaci di leggere la mente, controllarla e creare illusioni. Non bastasse questo a renderli poco normali, ci si mette che adorano come dio una bomba atomica non esplosa. Lasciamo correre l’evoluzione di questa nuova specie umana, lasciamo perdere cosa adorano, ma che dopo duemila anni una bomba atomica sia in perfetto stato come se fosse stata appena fabbricata lascia alquanto perplessi. Ma andiamo avanti.
Si scopre che Taylor è ancora vivo, catturato dai telepati. E con l’esercito di scimmie che sta per invaderli, gli umani mutati che fanno? Fanno combattere Taylor e Brent tra loro per divertimento, tanto hanno già deciso di far esplodere la bomba. L’intervento di Nova interrompe la connessione che i telepati avevano sui due, ma questo serve a poco: gli scimmie invadono la cattedrale, Nova muore e poco dopo la segue Brent. Taylor, anche lui ferito mortalmente, cerca di disinnescare la bomba, chiedendo aiuta a Zaius, che però si rifiuta; con le ultime forze, pieno di rabbia, attiva la bomba, distruggendo completamente il pianeta.
L’altra faccia del pianeta delle scimmie ha troppi buchi per poter essere credibile e apprezzabile e non conta che fosse un b movie: ce ne sono tanti che si lasciano guardare e sanno pure divertire. E invece con questa pellicola è spesso un “ma che cavolo”. Peccato, davvero un peccato, perché il film precedente era valido (nonostante delle ingenuità), mentre L’altra faccia del pianeta delle scimmie conferma la regola che i seguiti spesso non sono all’altezza.

Il pianeta delle scimmie

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Nel 1968 Il pianeta delle scimmie ha lasciato un segno nell’ambito della fantascienza; derivato dal romanzo del 1963 di Pierre Boulle La Planète des Singes, il film ha dato il via a un filone vivo ancora oggi e non soltanto per quanto riguarda le pellicole cinematografiche. Devo ammettere che ancora oggi Il pianeta delle scimmie conserva un certo fascino e seppur siano passati quasi sessant’anni dalla sua uscita si mantiene ancora interessante anche sotto l’aspetto visivo; rivisto poco tempo fa (mi ricordavo davvero poco della prima visione, ero bambino), mi ha preso più degli ultimi film (quelli usciti dopo il remake del 2001, compreso).
Perché ho voluto riverderlo?
Avevo dei ricordi frammentari della serie televisiva uscita negli anni 70 ma la memoria che avevo di essa era positiva e ho voluto vedere se il giudizio rimaneva positivo rivedendo il primo film da adulto; devo dire che il riscontro è stato buono, benché la storia abbia qualche ingenuità ed errore. Un gruppo di quattro astronauti nel 1972 viene mandato nello spazio su un’astronave alla ricerca di un nuovo pianeta da popolare; essendo il viaggio lungo, vengono ibernati. Le cose però non vanno come dovrebbero: l’ibernazione che avrebbe dovuto durare settecento anni, in realtà, stando al calendario di bordo, è durata più di duemila anni. Ma i guai non finiscono qui: l’astronave, attratta da un pianeta desolato, precipita in un lago, finendo inabissata, senza contare che che uno dei membri dell’equipaggio, l’unica donna del gruppo, è morta durante l’ibernazione per un problema della sua cabina.
I tre sopravvissuti iniziano a esplorare il pianeta, che dapprima sembra inspitale, ma poi scoprono essere abitabile; mentre fanno un bagno i loro vestiti vengono rubati da un gruppo di uomini selvaggi e poco dopo sono attaccati da un gruppo armato di gorilla a cavallo. Uno viene ucciso, uno stordito e il terzo, Taylor, viene ferito alla gola da un colpo di fucile, perdendo per qualche tempo la voce. Scambiato per uno dei tanti selvaggi, viene rinchiuso in una delle celle di uno specie di zoo all’interno di una città abitata da scimmie capaci di parlare e con una tecnologia pre industriale.
Il Pianeta delle scimmieCon il suo modo di fare attira l’attenzione della veterinaria Zira e del suo compagno, l’archeologo Cornelius, venendo chiamato Occhi Vivi perché dimostra di avere un’intelligenza evoluta, a differenza degli altri umani che sono considerati poco più di animali da cacciare o su cui fare esperimenti. Riuscito a scappare una prima volta, scopre con orrore che il compagno morto è stato imbalsamato e usato come attrazione in un museo; ritrova la voce quando viene ricatturato destando grande scalpore tra le scimmie, attirando soprattutto l’attenzione del professor Zaius, che ha molta paura di lui e per questo vuole lobotomizzarlo, come ha già fato con l’altro suo compagno sopravvissuto. Sottoposto a processo, viene difeso da Zira e Cornelius che vogliono dimostrare che è l’anello mancante della loro teoria, ovvero che le scimmie discendono da un’antica specie umana intelligente. Assieme al nipote Lucius, Zira e Cornelius liberano Taylor e Nova, una donna primitiva che aveva condiviso la cella con lui, e si recano nella Zona Proibita, un posto dove ci sono grotte con resti della civiltà umana.
Zaius, a capo di un manipolo di soldati, li raggiunge, ma viene catturato. Zira e Cornelius, portandolo dentro la grotta, gli mostrano degli oggetti (occhiali, dentiera e una bambola parlante che, piccola nota, dopo duemila anni non dovrebbe neppure più esistere, figurarsi parlare, dato che le batterie dovrebbero essere belle che andate) che Taylor riconosce. Con loro sorpresa, Zaius rivela che già sapeva la verità e che un tempo era davvero esistita una civiltà umana evoluta: fu lei a rendere la Zona Proibita il deserto che è tutt’ora. Taylor non crede alle sue parole ma viene lasciato andare via assieme a Nova. Il finale di Il pianeta delle scimmie è per me una degna conclusione della storia: cavalcando sulla spiaggia arriva a ciò che resta della Statua della Libertà e comprende il significato delle parole di Cornelius e perché teme tanto la razza umana, oltre a capire che il pianeta in cui si trova è la Terra dopo duemila anni, distrutta da un conflitto nucleare capace di distruggere la civiltà facendo regredire gli uomini a bestie ed evolvere le scimmie.
A parte alcune sciocchezze (la bambola che esiste e funziona ancora dopo duemila anni, il perché dopo duemila anni le scimmie abbiano scoperto le armi da fuoco ma non il motore (almeno quello a vapore) o l’elettricità), Il pianeta delle scimmie è un film interessante con il ribaltamento dei ruoli (l’uomo usato come cavia e gli animali che si comportano come persone) e un messaggio per niente banale contro la stupidità umana, la sua arragonza e l’essere l’unica specie capace di distruggere tutto. Bella la citazione durante il processo di una frase, parafrasata, di La fattoria degli animali di Gearge Orwell “Some apes, it seems, are more equal than others” (“Certe scimmie, a quanto pare, sono più uguali delle altre”).