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Sabbia Bianca

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Sabbia BiancaHo preso Sabbia Bianca di Brandon Sanderson appena è uscito (2021) e ho finito di leggerlo da poco. No, non sono lento nel leggere, ma questa è stata una lettura che ho interrotto più volte; vuoi perché il lavoro non è stato diretto totalmente da Sanderson e si vede che manca la sua impronta; vuoi perché le ambientazioni desertiche non mi hanno mai preso molto (benché riconosca che siano buoni lavori, anche in altri ambiti come film (Lawrence d’Arabia) o videogiochi (Prince of Persia) il risultato è stato lo stesso); sarà perché preferisco colline, boschi, foreste e montagne ai paesaggi sabbiosi (comprese le spiagge); sarà perché tutto quel giallo alla lunga stanca, o anche perché i luoghi con poca vita non mi sono di grande ispirazione, sta di fatto che la lettura di Sabbia Bianca è andata a rilento, con parecchi abbandoni e pause. Sembra una contraddizione, ma alla fine la storia mi è piaciuta, seppure non abbia fatto presa come altre opere di Sanderson (Folgoluce, Il Ritmatista, Mistnorn).
Tutto ruota attorno al personaggio di Kenton, figlio del Lord Mastrell del Diem, un’organizzazione che addestra i Dominatori della Sabbia, persone capaci di sfruttare il potere della sabbia; nonostante sia figlio di uno dei Dominatori più potenti, Kelton ha scarso potere, al punto che il padre lo vorrebbe fuori dal Diem. Però il ragazzo, nonostante riesca a controllare solo un nastro di sabbia (mentre i più forti possono arrivare anche a venticinque), è determinato a continuare il cammino di Dominatore e si sottopone al Percorso del Mastrell, una prova durissima che solo chi è dato di grande potere intraprende. Oltre ogni previsione, riesce nel suo intento ma la sua esultanza dura poco perché il diem viene attaccato all’improvviso dai Kertziani, che odiano profondamente coloro che usano il potere della sabbia; la lotta, per quanto dura, sembra essere a favore dei Dominatori, fino a quando Kenton si accorge che c’è qualcosa che non va: l’uso del potere della sabbia sta disidratando più velocemente del normale i Dominatori, portandoli alla morte. Alla fine, solo Kenton riesce a sopravvivere al combattimento, il Diem spazzato via completamente. Viene soccorso dalla duchessa Khrissalla e dal suo seguito, giunta nel Fulgilato per capire se poteva avere il potere della sabbia per supportare il suo paese.
Anche se ha avuta salva la vita, le cose per Kenton non si mettono bene: assassini tentano continuamente di eliminarlo e il Diem, che vanta ancora dei membri sopravvissuti, sta per essere sciolto dopo la morte di suo padre, con il Consiglio che ha deciso che d’ora in avanti nel paese ci saranno solamente sette Mestieri. Kenton non solo dovrà continuamente guardarsi alle spalle e dovrà convincere i vari Lord a non sciogliere il Diem, ma dovrà pure affrontare correnti interni che non riconoscono il titolo che il padre gli ha lasciato.
Tradimenti e intrighi politici si susseguono in una serie di colpi di scena che portano alla risoluzione delle vicende, con Kenton che non solo riesce nel suo intento, ma fa pure l’importante scoperta che ci sono persone capaci di aumentare il loro potere (numeri di nastri da utilizzare, come succede a lui) quando arrivano al loro limite.
Sabbia Bianca, un graphic novel del Cosmoverso, è stata elaborata e sviluppata da un’idea di Sanderson avuta più di vent’anni fa quando era in Corea del Sud come missionario, come racconta l’autore nella prefazione: un gruppo di persone, mentre attraversa una distesa di sabbia bianca, trova una mano che spunta dalle dune e scavando rinviene una persona ancora viva. Da quell’immagine poi venne un mondo intrappolato tra due stelle, una luminosa e onnipresente (che dà vita al Fulgilato) e un’altra minuscola irradiante una strana luce, filtrata da un bizzarro fenomeno astronomico (il Foscolato). Un po’ Dune, un po’ La Ruota del Tempo, un po’ I Miserabili ed ecco la prima bozza di Sabbia Bianca, una storia dal finale aperto. Quelle vicende furono lasciate ferme e riprese solo una volta terminato Elantris, che però, una volta sistemate, rimasero ancora nel cassetto perché l’autore preferiva occuparsi di altro; fu a quel punto che Dynamite Entertainment gli chiese se avesse del materiale inedito per realizzare un graphic novel. Da quella collaborazione ecco nascere il volume di quattrocensessanta e passa pagine avuto tra le mani così a lungo che si sta per giudicare.
Partiamo dal finale, dove, come nella prima bozza, è aperto e ci sono ancora diversi punti che aspettano di trovare risposta: il potere da Dominatore della Sabbia mostrato all’improvviso da Baon, guardia del corpo di Khrissalla; la minaccia del misterioso L’a’kar, finora soltanto nominato; il viaggio di Ais verso la Sabbia Profonda in cerca di risposte. La domanda che si pone il lettore dinanzi a ciò è se mai ci sarà un seguito alle vicende narrate in Sabbia Bianca, perché così la storia risulta monca; è vero che quanto visto era incentrato sui Dominatori delle Sabbie e sul Fulgilato, tuttavia ci si chiede come sia il Foscolato, a cosa mira, quale sia la sua politica, la sua organizzazione. Così come ci si domanda chi sia questo L’a’kar e quale sia il suo potere. In Sabbia Bianca c’è tanta carne al fuoco, forse troppa, e non si riesce a portare tutto a compimento: servono più di tre libri (quelli raccolti nel volume) per raccontare di Taldain, il mondo dove si svolge la storia. In tutto ciò si sente che Sanderson ha solo collaborato, e l’adattamento realizzato da Rik Hoskin, lo sceneggiatore, manca di pathos, di mordente, del tocco tipico di Sanderson che caratterizza i suoi scritti; non si avverte mai una reale minaccia, andando incontro più che altro a intoppi e intrighi politici che mettono in secondo piano i poteri dei Dominatori della Sabbia (cosa che non succede per esempio in Mistborn e Folgoluce, dove risultano spesso decisivi).
Per quanto riguarda il comparto grafico, l’opera presenta tre stili: nel Libro 1 e per i primi cinque capitoli del Libro 2, si è dinanzi alla mano di Julius Gopez, presentante un tratto articolato e dettagliato; il sesto capitolo è di Julius Ohta, un tratto più semplice e pulito, che a mio avviso spiazza e delude un poco. Il Libro 3 appartiene interamente a Fritz Casas, con un tratto migliore di quello mostrato da Julius Ohta. Per i colori si susseguono Ross A. Campbell (Libro 1), Morgan Hickman (Libro 2 Capp.1-2) e Salvatore Aiala Studios (Libro 2 capp. 3-6 e Libro 3): tutti fanno un buon lavoro.
Cosa dire infine di Sabbia Bianca? Che non è al livello di Mistborn o di Folgoluce e quindi, se si hanno aspettative del genere, si potrebbe rimanere delusi; tuttavia, non è un’opera da buttare via. Certo, non è il lavoro migliore di Sanderson, ma comunque merita una lettura, seppure abbia dei difetti. Forse con un seguito adeguato, si saprà valutare al meglio questo mondo e i suoi personaggi, magari avendo più cura e meno fretta nel raccontare le vicende.

Tress del Mare Smeraldo

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Tress del Mare SmeraldoCosa dire di Tress del Mare Smeraldo? Partiamo dalla postfazione di Brandon Sanderson, dove racconta la genesi del romanzo, avvenuta durante il lockdown del Covid, subito dopo aver fatto vedere il film La storia fantastica (tratto dall’omonimo libro scritto di Williamm Goldman, conosciuto anche come La principessa sposa) alla sua famiglia; c’è da dire che l’idea non è nata proprio proprio dopo la visione della pellicola, dato che Sanderson aveva già in mente di scrivere un romanzo narrato dalla voce di Hoid (personaggio ricorrente nelle sue opere), in preparazione di un lavoro che parlasse proprio di questa figura. Sanderson voleva scrivere qualcosa sullo stile di Il cane e il drago (una storia narrata da Hoid a Kaladin in Il ritmo della guerra, quarto volume di Le Cronache della Folgoluce), una sorta di fiaba per adulti. Ed è qui che si capisce perché lo scrittore ha pensato a La storia fantastica, ma prima di continuare è bene fare un breve sunto delle vicende di questa storia (si prendono in considerazione quelle viste nel film), raccontata da un nonno al nipote malato. La giovane Bottondoro s’innamora del garzone Wesley; la loro sembra un’unione felice ma il ragzzo muore per mano del pirata Roberts dopo essera andato in mare in cerca di fortuna. Passa il tempo e Bottondoro decide di sposare il principe Humperdinck, che non ha buone intenzioni; infatti, il principe fa rapire la sua promessa sposa da un trio di banditi (la mente del gruppo Vizzini, il gigantesco Fezzik e lo spadaccino Inigo Montoya) così da dare la colpa del gesto ai suoi rivali e muovergli guerra. Non ha fatto i conti però col pirata Roberts, che prima batte in un duello di spada Montoya, poi mette al tappeto Fezzik e infine supera in astuzia Vizzini. Bottondoro non è felice di essere stata liberata da lui, reputandolo responsabile della morte dell’amato ma, con sua grande sorpresa, il pirata si rivela essere Wesley, risparmiato e col tempo divenuto lui stesso il temuto Roberts. Le cose però non si mettono bene per i due, dato che il principe non si dà per vinto e li cattura; nonostante tutto volga al peggio, Wesley trova in Fezzik e Montoya due alleati, che lo aiutano a salvare la principessa e a sconfiggere il principe.
Sanderson era stato entusiasta di questo storia, salvo un piccolo neo: la principessa non fa nulla, viene salvata e basta. La moglie convenne con lui, mettendogli la pulce nell’orecchio: cosa sarebbe accaduto se Bottondoro fosse partita alla ricerca di Wesley, non dandolo per morto?
Ed è su queste note che nasce Tress del Mare Smeraldo. Tress è una ragazza normale, senza grandi particolarità, salvo quella di riflettere molto e non voler essere di disturbo al prossimo (due elementi rari di questi tempi…), oltre ad avere una passione per le tazze, che colleziona. Vive su un’isola non proprio bella (anzi, per niente; non è un caso che venga soprannonimata la Roccia) e ha un caro amico, Charlie, che fa il giardiniere (si fa passare come tale, in realtà però non lo è: è il figlio del duca che regge l’isola). L’amicizia tra i due è diventata col tempo più forte, ma lei si rende conto dei suoi sentimenti solo quando Charlie sta per essere mandato a prendere moglie tra le figlie degli altri nobili; Charlie però fa di tutto per non sposarsi e restare fedele alla promessa che le ha fatto. E ci riesce così bene che il re decide di mandarlo dalla temibile Fattucchiera per contenere la sua minaccia (si sperava che la sposasse, ma era una speranza vana; in realtà, volevano toglierselo di torno): Charlie però viene catturato e la Fattucchiera ne chiede il riscatto, che nessuno però paga.
Tress, dopo aver ponderato a lungo, decide di andarlo a salvare. Riesce a lasciare l’isola (solo ai nobili era concesso farlo) imbarcandosi con un inganno su una nave, ma subito la nave viene attaccata dai pirati, che la prendono a bordo come sguattera (anche se il capitano Gazza avrebbe voluto lasciarla morire).
Fino a quanto raccontato sembra di vedere La storia fantastica come l’avrebbe voluta Sanderson: il personaggio femminile che non è passivo ma attivo, anzi, è il protagonista (come piace a tante storie odierne), cosa non certo una novità per Sanderson che ha descritto nei suoi vari romanzi donne di carattere, forti, seppur con le loro debolezze, i loro dubbi. Ma ecco che entra in gioco la capacità dello scrittore americano di creare mondi particolari: il mondo di Tress è composto di dodici mari, ma i mari non sono composti d’acqua, bensì di spore che cadono da dodici lune che gravitano attorno al pianeta. Ogni tipo di spora ha delle proprietà, se viene bagnato da un liquido (acqua, sudore, sangue): le spore verdi, quelle del mare dove si trova l’isola di Tress, fanno crescere rampicanti; quelle del mare di zaffiro creano esplosioni; quelle del mare rubino creano lastre di pietra rosa-rossastro simili a cristallo opaco; poi ci sono quelle del mare cremisi che generano aculei capaci di trafiggere qualunque cosa. E infine quelle del mare più temuto, quelle del mare di Mezzanotte, dove vive la Fattucchiera, capaci di dare vita a creature quasi senzienti che, inutile dirlo, sono al servizio della donna che Tress vuole andare ad affrontare.
Le cose non sono facili per la ragazza, ma grazie all’aiuto di Huck, un ratto parlante, e al saper farsi ben volere da alcuni membri della ciurma, l’impresa che all’apparenza sembrava impossibile un passo alla volta comincia a non sembrarlo più, specialmente quando Tress iniza a parlare con Hoid, mozzo sulla nave pirata e maledetto dalla Fattucchiera, regredito praticamente a scemo del villaggio (chi ha letto altri libri di Sanderson sa qual è il suo livello). Non si aggiunge altro sulla storia, salvo che è bello vedere che oltre Hoid c’è un altro personaggio proveniente da un altro mondo di Sanderson, quello dei Mistoborn.
Tress del Mare Smeraldo è una piacevolessima storia narrata dal punto di vista di Hoid, che fa da narratore; una storia di pirati (ma non pirati sanguinari, salvo il capitano Gazza), ma anche una storia di crescita non solo di Tress ma anche di altri personaggi come Ann, Charlie. Una storia buona, che mostra come chiunque abbia le risorse in sé per superare le difficoltà, ma che mostra pure però che alle volte si deve avere anche l’aiuto degli altri per andare avanti, con il saper creare legami che è importante quanto il sapersela cavare da soli. Conoscendo Sanderson qualche sorpresa viene un po’ meno (si era già cominciato a sospettare che Huck non la raccontasse giusta da quando Hoid aveva dato una certa dritta), ma questo non rovina il finale e nemmeno l’andamento dell’avventura che appassiona senza mai stancare. Bello bello: Sanderson ha fatto ancora centro.

La Rocca dei Silenzi

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La Rocca dei SilenziDa tempo volevo scrivere una recensione su La Rocca dei Silenzi di Andrea D’Angelo, ma erano passati anni dalla prima volta che avevo preso in mano questo romanzo e quindi ho voluto rileggerlo, uno perché non mi ricordavo diverse cose, due perché volevo capire se le sensazioni e le impressioni avute in precedenza erano le stesse. Come avvenuto in passato, posso confermare che La Rocca dei Silenzi è un buon romanzo, in più ora ho la consapevolezza per parlare di certi aspetti del libro, questo grazie anche alle parole rilasciate dal suo autore (se si vuole qui c’è il suo sito personale e qui il canale Youtube che gestisce: suggerisco di darci un’occhiata perché ci sono cose interessanti da seguire).
Fin dalle prime pagine, si viene catapultati nella vicenda senza sapere cosa sta succedendo, un po’ come avviene nei romanzi di Steven Erikson: un terzetto di avventurieri (il nano Ghona, l’elfo scuro Ledrijn, il guerriero umano Koh Katt), decide di affrontare le insidie di Ammothad, la Rocca dei Silenzi. Le prime pagine sembrano di ricalcare una storia fantasy ben conosciuta: un gruppo di avventurieri che si avventura in un luogo oscuro e pericoloso. Molto pericoloso, dato che della prima spedizione effettuata, di ventitrè membri del gruppo, solo quattro sono sopravvissuti: loro tre e un mago, Thal Dom Djèv, che ha rifiutato di affrontare di nuovo l’impresa. Fronteggiare la propria morte è ammirevole, sperare di sconfiggerla è da idioti! Io attenderò che venga a prendermi, queste erano le parole con le quali li aveva congedati una volta che gli avevano confidato di voler tornare ad Ammothad. Purtroppo, le parole del mago risultano veritiere: i tre vengono massacrati dalle creature vomitate fuori dalla rocca.
Tempo dopo la missione suicida, alla Torre di Dòthrom (luogo di studio della Magia), Moenias, un potente fruitore di Magia, sta cercando di convincere i suoi simili a liberare Ammothad dalla maledizione che la pervade, bandendo il male che vi alberga. La votazione è a un punto di stallo e solo un voto può decidere per una nuova missione alla rocca malefica: quello di Thal Dom Djèv, convocato alla Torre proprio per parlare di quello che ha appreso da quel luogo di morte. Sorprendentemente, il fruitore decide a favore dell’impresa, anche se aveva promesso che non sarebbe più tornato in quel luogo di follia e morte.
Inevitabilmente, la missione si rivelerà un nuovo bagno di sangue, dove sopravvivrà solo la retroguardia di cui Thal Dom fa parte; Moenias muore nell’impresa, ma il suo sacrificio permette a Thal Dom, attraverso la Telepatia Traslata, di scoprire i punti deboli delle creature che si comincia ad apprendere non essere demoni. E i sospetti che la Torre di Dòthrom sia corrotta e coinvolta in quello che succede ad Ammothad si fanno sempre più concreti.
Nonostante l’ennesimo fallimento, Thal Dom conduce una nuova missione per fare luce sull’incubo che ormai lo perseguita da troppo tempo: con i superstiti della retroguardia, più altri due fruitori e un misterioso sicario capace di odorare la morte, s’addentra nelle profondità della Rocca come mai aveva fatto in precedenza. E la verità gli viene sbattuta in faccia, rivelandogli che c’è chi non segue le regole della magia e della natura come fa lui.
La Rocca dei Silenzi è un fantasy epico, ben scritto, capace di sorprendere in alcune parti, come per esempio ciò che riguarda il sicario Mordha oppure per la via che Vorak intraprende (si poteva pensare che fosse dettata dalla follia, ma così invece non è); un po’ meno sorprendente ciò che si nasconde dietro le creature di Ammothad, ma questo dipende probabilmente dalla conoscenza che ho del fantasy per via delle letture avute in precedenza: esse mi hanno ricordato gli Ombrati del ciclo di Gli eredi di Shannara di Terry Brooks (non aggiungo altro per non fare spoiler) e quindi avevo intuito già dalla spedizione di Moenias dove Andrea D’Angelo avrebbe condotto il lettore. Il fatto che non ci sia sorpresa non è cosa negativa, anzi, ho apprezzato la direzione che Andrea ha voluto prendere, dell’impronta che ha voluto dare al romanzo; come la definirebbe lui, un’impronta filosofica, che fa riflettere sulla morte, su quali limiti si possono superare e quali invece è meglio lasciare stare. Ed è giusto che sia così, perché si è dinanzi a un fantasy epico, non uno young adult con patemi adolescenziali come l’editoria a un certo punto ha voluto definire il fantasy. Quindi niente cotte varie o vaneggiamenti amorosi, ma un romanzo cupo, arrabbiato (chi ha auto modo di seguire Andrea sul suo sito o sul canale Youtube, ha già sentito di questa rabbia).
La Rocca dei Silenzi è un romanzo che consiglio per chi cerca una lettura non banale, uno tra i pochi che davvero mi ha convinto nel panorama italiano di opere fantasy pubblicate da case editrici (piccola nota a margine, ma penso che questo dipenda solamente da me: alcuni nomi facevo fatica a ricordarli, come per esempio Lhoss’m Da’hin).

I videogiochi della serie Final Fantasy fanno davvero schifo?

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Questa domanda, che può sembrare clickbait, è nata sentendo per caso un discorso di alcuni giovani sugli ultimi episodi della serie videoludica di Final Fantasy. Facendo un rapido riassunto (e tralasciando commenti coloriti), stando ai giudizi ascoltati non volendo, Final Fantasy XVI (ultimo capitolo finora uscito della saga) non è piaciuto per il non poter essere considerato un Final Fantasy perché tradiva lo spirito e la tradizione della serie (non conosco il gioco e quindi non posso dare giudizi, ma incuriosito da ciò ho fatto delle ricerche per capire i motivi di tale opinione: qui un video che dà una spiegazione). Sorte non migliore è toccata a Final Fantasy XV, definito il peggiore causa storia confusionaria perché frammentata tra altri media (altri videogiochi, serie anime e film, quest’ultimo che ho visto e che ho potuto apprezzare). E qui arriva la parte del discorso che mi ha lasciato perplesso: stando ai ragazzi, se questi giochi, che essendo gli ultimi realizzati dovevano essere i più belli perché avevano la grafica migliore, erano stati deludenti, allora quelli che c’erano prima, essendo più vecchi, dovevano fare più schifo e non meritavano di essere conosciuti e giocati.
Ora, non sono mai stato favorevole a questo tipo di giudizi; se un film, un libro, un gioco, non mi convince, allora dico che da quello che ho visto o sentito il prodotto non mi ha colpito e non sono stato interessato ad approfondirne la conoscenza. Ma non mi permetterei di dire che fa schifo, perché mi mancano elementi per dare un giudizio. Inoltre, basare una recensiore, per quanto riguarda un videogioco, solo sulla grafica, è molto riduttivo, perché va tenuto conto della storia, della caratterizzazione dei personaggi, della giocabilità e del sistema di gioco; solo per fare un esempio, non metterei mai sullo stesso piano Final Fantasy XII e Final Fantasy VII: benchè la grafica sia migliore (ci sono nove anni di differenza tra i due capitoli, con il primo uscito nel 2006 e il secondo nel 1997), il secondo è ampiamente superiore al primo e non per niente è considerato uno dei capitoli più iconici della serie.
Quindi cosa si può dire di questa famosa saga?
Ognuno ha le sue idee e io esprimerò le mie in base all’esperienza che ho avuto con essa, ben sapendo che è limitata, dato che ho giocato i capitoli dal VII al XII (i miei tempi da videogiocatore sono finiti da un pezzo).

Final Fantasy VIIFinal Fantasy VII (Playstation). A livello di storia, e per via dei temi toccati, probabilmente è il miglior Final Fantasy: Avalanche, un movimento ribelle guidato da Barret, combatte contro la Shinra, una grande corporazione che sta sfruttando troppo l’energia Mako del pianeta, portandolo alla rovina. Ma la Shinra non sarà l’unico nemico da affrontare: il più pericoloso è Sephirot, un ex Soldier desideroso di vendicarsi della Shinra per via degli esperimenti condotti su di lui. Con lui, Final Fantasy VII presenta il miglior villain di tutta la serie: ottima caratterizzazione, carisma da far paura e soprattutto la voglia di arrivare a confrontarsi con lui nel finale e fargli pagare ciò che ha fatto; inizialmente per Sephirot si prova empatia e proprio per questo non si riesce a perdonargli un’azione che porta alla morte di uno dei personaggi più amati della storia. Per i tempi (era il 1997) aveva una delle grafiche migliori, ma soprattutto inaugurò il passaggio da quella classica 2D dei capitoli precedenti a quella 3D. Un roster di nove personaggi giocabili di cui alcuni francamente inutili (Cait Sith), buone ambientazioni e una colonna sonora molto bella ed evocativa (su tutte il magnifico Aerith’s Theme), rendono Final Fantasy un’avventura epica, con scontri emozionanti (le battaglie contro le varie Weapon), un finale veramente riuscito (sfido a trovare qualcuno che non è rimasto emozionato nell’epilogo della storia con un ritorno magnifico che dà la svolta a una conclusione che sembrava ormai segnata).

Squall, protagonista di Final FAntasy VIII, col suo iconico gunbladeFinal Fantasy VIII (Playstation e PC). Il primo Final Fantasy non si scorda mai. Final Fantasy VIII è stato il Final Fantasy che per primo ho giocato, che più ho apprezzato e quello che più mi ha emozionato; forse è dovuto all’età in cui l’ho giocato, che praticamente era la stessa di quella dei protagonisti, forse perché il gioco partiva da un’ambientazione molto vicina al mondo reale, forse perché i protagonisti cominciavano l’avventura partendo da una scuola dopo essersi diplomati (i Garden sono una sorta di accademia militare), oppure per le tematiche che parlavano dei legami che si creano tra le persone, dei conflitti interiori, della solitudine, dell’abbandono, della ricerca di fiducia. Fatto sta che è il gioco che ho amato di più (ben riconoscendo che non è perfetto, che ha dei difetti) e per questo reputo il migliore. Per una volta sarò sentimentale, ma visto che si sta parlando di gusti personali, questo è. Va riconosciuto che il nemico della storia non regge il confronto con Sephirot: la strega alla fine non risulta nulla di che e anche tutte le vicende che la riguardano, seppur partano bene, con il proseguire della storia scemano fino ad arrivare alla compressione temporale che non convince del tutto. Il sistema di Junction (attribuzione delle magie per variare le caratteristiche dei pg) può risultare complesso (per me non lo era) e non c’è praticamente diversificazione tra i personaggi (salvo le tecniche speciali e le armi). Ma tutto questo non può cancellare le sensazioni che ha dato l’essere intimista del gioco, il suo guardare dentro l’essere umano, le relazioni tra i personaggi, l’indimenticabile Garden di Balamb, la futuristica Esthar City, le tranquille colline di Winhill, il magnifico Lagunarock, gli splendidi GF (Guardian Force) con le loro spettacolari entrate in scena (va ammesso che certe erano un poco lunghine, e alla fine diventava un po’ noioso doverle vedere tutte le volte che si dovevano evocare i GF). A questo proposito, è interessante che l’uso del potere dei GF logori i ricordi di chi li usa, facendo a lungo andare perdere la memoria (metafora che il potere logora). Ed è anche bello nella storia lo scoprire ciò che lega Squall e compagni al passato di una persona che non conoscono, ma le cui vicende s’intrecciano con le loro rivelando che c’è molto invece a connetterli. Anche in Final Fantasy VIII la colonna sonora di Nobu Uematsu è molto bella, con due tracce che spiccano su tutte: l’evocativa Liberi Fatali e la sognante Eyes on me (primo brano musicale nella storia dei videogiochi a vincere un premio in occasione del quattordicesimo Japan Gold Disc Award, nella categoria “Canzone dell’anno” nel 2000). Menzione speciale per il Triple Trias, gioco di carte famoso in FF VIII che è divenuto uno dei minigiochi più apprezzati della serie (e che permetteva trasmutando le carte di ottenere oggetti molto utili, specialmente da quelle rare). Se si vuole approfondire il discorso su FFVIII, consiglio questa recensione video.

Garnet, protagonista femminile di Final Fantasy IXFinal Fantasy IX (Playstation). Giocato dopo Final Fantasy VIII, la prima volta mi ha deluso. Ambientazione completamente diversa (da moderna a medievale), caracter design super deformed (dopo quella realistica dell’VIII), mi aveva preso davvero poco, salvo rari momenti; il solo personaggio che salvavo era Vivi, l’unico la cui storia mi aveva colpito. L’ho rigiocato anni dopo per sfizio ed è stato il Final Fantasy che più ho rivalutato, potendolo apprezzare per quello che era veramente: un gioco davvero ben fatto e molto bello. L’unica colpa che aveva avuto era di essere uscito subito dopo l’VIII e aver avuto un confronto emotivo (per via del periodo in cui era stato giocato) con cui non poteva esserci partita. Invece il IX aveva tanto da dire. In apparenza ironico per via di un inizio che non si prende tanto sul serio dove Gidan, insieme alla sua compagnia teatrale (in realtà un gruppo di banditi), deve rapire la principessa Garnet durante il suo sedicesimo compleanno (principessa che vuole scappare dal regno e si fa volentieri rapire); a contrastarlo ci pensa l’imbranato cavaliere Steiner (ancorato al suo codice cavalleresco che lo fa sembrare un residuo d’altri tempi), cui non ne va dritta una. La regina Brahne (che è solo la madre adottiva di Garnet) impiega tutti i mezzi per riaverla (ma non si tratta di affetto) e nel frattempo scatena guerrra contro ogni paese. Gidan e Garnet (che da un certo punto si farà chiamare Daga, ma entrambi non sono i sui veri nomi) sono accomunati da un’origine comune: tutti e due non sanno chi sono realmente e da dove vengono. E mentre sono alla ricerca delle loro radici e contrastano il misterioso Kuja (artefice di ciò che sta avvenendo su Gaia), i due svilupperanno sentimenti sempre più forti l’uno per l’altra, accompagnati da uno dei gruppi più sgangherati mai visti: oltre a Steiner, ci sarà il piccolo mago nero Vivi, l’abile draghiera Freija, l’asociale Amarant, la piccola Eiko (bimba che si vede rivale in amore di Garnet) e la mangiona Quina. La loro è una banda scalcinata, ma il legame che li unisce è forte e li porterà a scoprire un’inaspettata verità sul loro pianeta e quello che sta succedendo.
A differenza dei capitoli che l’hanno preceduto, è possibile avere quattro membri del party durante i combattimenti. Anche per questo capitolo Nobu Uematsu è il creatore della colonna sonora e non tradisce le aspettative: su tutte la bellissima canzone Melodies of life e il brano musicale You’re not alone.

Final Fantasy XFinal Fantasy X (Playstation2). Final Fantasy X è il primo capitolo della serie per la Playstation 2 e il primo ad avere anche un doppiaggio sonoro. Inutile dirlo, la grafica è superiore a quella dei capitoli precedenti. La storia invece, non che sia brutta, anzi è bella, ma non ha fatto presa come quella dei predecessori, anche se ci sono dei momenti molto intensi. Il giovane Tidus, stella del blitzball (una specie di pallanuoto subacqueo), viene trasportato su un altro mondo dopo che Zanarkand viene attaccata da un mostro gigantesco; lì, dopo essere stato soccorso, viene a scoprire che la città in cui è vissuto è stata distrutta mille anni prima. Si unirà così a Yuna, un’invocatrice, e ai suoi guardiani per combattere Sin, il mostro che flagella il mondo di Spira; ma le rivelazioni che avrà durante il viaggio saranno altre, ognuna più profonda e dolorosa delle precedenti.
Non c’è che dire: Final Fantasy X sa emozionare, oltre che a divertire; il finale è davvero bello, anche se uno dei più tristi e malinconici. Ma sa anche far sclerare con alcuni minigiochi (vedere quelli dei Chocobo, ma direi che questi l’hanno fatto in quasi tutti capitoli) o alcuni scontri (su tutti quello con Dark Yojimbo; Der Richter, il boss più potente del gioco con 12 milioni di hp, sarebbe molto più impegnativo, se non fosse che c’è la possibilità di eliminarlo con una sola mossa grazie alla Zanmato dell’eone Yojimbo. D’accordo, è poco eroico, ma la voglia d’impiegare ore in una lotta epica non era nelle mie corde. Sì, ci sono volte in cui piace vincere facile, e visto che la possibilità era stata data…). Il blitzball rimane comunque uno dei giochi all’interno del gioco che volentieri si rifanno più e più volte. Ancora una volta la colonna sonora è affidata a Nobu Uematsu anche se assistito da Masashi Hamauzu e Junya Nakano; bella, ma a mio avviso non al livello delle precedenti. Rimane comunque meritevole di essere ascoltata Suteki Da Ne.

Final Fantasy X-2Final Fantasy X-2 (Playstation2). Il peggior Final Fantasy cui ho giocato. Il sistema di combattimento è interessante, con i personaggi che acquisiscono abilità in base alla Looksfera (abito) che hanno in dotazione e che può essere cambiato durante il combattimento. Tolto questo, il resto è tutto dimenticabile o è meglio passare oltre. Le protagoniste sono Yuna, Rikku e la new entrey Paine; assieme alle altre due, Yuna è diventata una cacciasfere dopo che Khimari, suo ex guardiano, ha ritrovato una sfera (unità dove sono conservati dei video) in cui si vede un ragazzo simile allo scomparso e amato Tidus; le premesse sono anche valide, la storia no, probabilmente creata per dare un contentino ai fans dopo il triste finale del capitolo precedente che però lascia un epilogo dubbio e aperto. Tutta la vicenda è priva del pathos del suo predecessore, della sua intensità e profondità; si è dinanzi a una storia leggerina e sbarazzina, dove i momenti di un certo rilievo si contano sulle dita di una mano e si va avanti solo per vedere il finale. Ed è questo il punto peggiore del gioco: per avere il finale completo (il perfect ending), occorre completare il gioco al 100%, ovvero concludere tutte le trame, le sottotrame e i vari minigiochi (che oltretutto non sono nemmeno divertenti, ma solo una seccatura, come la campagna pubblicitaria; inoltre sono riusciti a rovinare pure il minigioco del blitzball) in un determinato modo, senza sbagliare nulla, nemmeno saltare il minimo dialogo, pena non ottenere il 100% e dover rigiocare il gioco per ottenerlo. Il finale è quello ricercato dai fan: il tanto agognato happy ending, carino, ma nulla di trascendentale (viene da dire per fortuna non c’è stata la terza parte, perché da quello che si è letto in rete la storia sarebbe stata rovinata ulteriormente).

Final Fantasy XIIFinal Fantasy XII. Il più anonimo. Devo essere sincero, non mi ha lasciato molto. Visivamente bello, le scene d’animazioni spettacolari, l’intro ben fatta (anche se la parata mi ha ricordato molto quella in Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma, il che non è molto positivo), ma storia, musiche e ambientazione non mi hanno dato la scossa, erano fredde, distanti; anche gli abitanti del mondo, seppur diversificati, mi sono sembrati piatti e pure le armi lo erano (nulla a che vedere con lo spadone di Cloud in stile Berserk di FFVII o l’iconico gunblade di Squall in FFVIII); gli esper (possono ricordaregli eoni di FF X) sono praticamente inutili. E dei personaggi, che di solito sono quelli che fanno la differenza, mi è rismasta impressa solo la bella Fran. Final Fantasy XII lo ricorderò più che altro per la rottura di scatole che è stato battere il boss Yiazmat, dato che sono occorse ore e ore di gioco per sconfiggerlo; va bene creare delle sfide impegnative, ma realizzare un nemico da cinquanta milioni di punti ferita non lo è affatto, perché è qualcosa di ripetitivo che porta via inutilmente delle ore che non sono affatto di divertimento ma di logoramento di zebedei (sono passati tanti anni dal 2006 e non ricordo bene di preciso, ma di sicuro ci sono volute più di venti ore; l’unica nota “positiva” è che non si doveva battere il mostro tutto in una volta, ma lo si poteva fare in più round). Di sicuro sopra FF X-2, ma nettamente inferiore senza se e senza ma a VIII, VII, IX.

Final Fantasy VII Dirge of CerberusFinal Fantasy VII Dirge of Cerberus (Playstation 2). Storia ambientata nel mondo di FF VII un anno dopo le vicende del film Advent Children (ignorandole), che vede come protagonista Vincent Valentine. Spin off che si discosta completamente dal classico FF, dato che si è dinanzi a un action RPG; giocato semplicemente per la presenza di Vincent (personaggio misterioso e carismatico), mi ricordo davvero poco di questo gioco.

Crisis Core: Final Fantasy VII (Playstation Portatile). Storia incentrata su Zack, amico di Cloud e legato profondamente ad Aerith: questo action RPG, che vede solo un personaggio giocabile, Zack, è ambientato prima di FF VII e mostra i fatti che hanno portato all’inizio della celebre storia di Cloud e compagni. Benché si sapesse già com’erano andati i gli eventi (erano stati raccontati nel VII), non si può provare una profonda tristezza quando le vicende di Zack si concludono: di tutti i Final Fantasy ha sicuramente il finale più triste.

Da menzionare Kingdom Hearts I e II (Playstation 2), che non appartengono al mondo di Final Fantasy, ma presentano al suo interno alcuni personaggi dell’universo di Final Fantasy; di per sé la storia era interessante, con il viaggiare e scoprire mondi differenti, ma dover giocare a più giochi su diverse console per avere la storia completa, questa è una cosa che proprio non è accettabile. Inoltre, non si ha nemmeno il finale completo dato che nemmeno il terzo capitolo (cui non ho giocato), uscito dopo più di dieci anni dal secondo, non conclude le vicende.